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sabato 26 febbraio 2011

La Casa - La Casa 2

Doppio parere per due classici dell' horror che mi sono sparato negli ultimi due giorni. Partivo reo di aver già visto L' armata delle tenebre in anticipo, quindi mi mancava tutta la base (comunque non strettamente necessaria, visto il cambio di approccio del terzo film). Ordunque, che ne penso dei capostipiti?

Per quanto riguarda La

Casa, che sia un prodotto low budget è evidente, per quanto comunque si avvalga di alcuni effetti davvero ammirevoli, specie nella parte finale, in cui si assiste ad un uso della stop motion rivoltante ma a dir poco stupendo.

Non molto si può dire

riguardo ai personaggi. Nessuno è veramente memorabile, e a parer mio il personaggi di Ash di Bruce Campbell qui non si realizza pienamente come farà nei sequel (complice un doppiaggio italiano che lo fa sembrare un vero pesce), ma la base c' è già. Vero problema mi è sembrato essere una leggera monotonia. Per quanto il tutto sia folle (in positivo), mi aspettavo una maggior varietà di situazioni, cosa che per fortuna ho trovato nel seguito, La Casa 2, a dir poco traboccante di scene culto (non ultima la "questione della mano"), in cui la pazzia accennata nel primo esplode senza ritegno.

Oddio, a essere onesti l' inizio mi ha confuso e continua a confondermi non poco. Pare quasi un reboot, con Ash che giunge nella casa con una ragazza diversa da quella del primo film, senza gli altri amici e con uno svolgimento diverso delle vicende precedenti. Forse non hanno potuto recuperare il vecchio cast? Mistero. Poco importa, comunque, visto che qui nel giro di tre minuti saremo subito catapultati nell' orrore, più sanguinolento che mai.

In definitiva, due bei film, di cui riconosco benissimo i meriti nel panorama del genere. Solo che mi sembrano in generale un pò sopravvalutati, specie il primo.


PS: mi arrendo. Il layout, i caratteri, i colori di questa recensione sono ingovernabili. ABbiate pazienza e leggetelo in questa maniera assurda!

giovedì 24 febbraio 2011

"The Surrogates", di Robert Venditti & Brett Weldele

Pescando a piene mani in un immaginario che vede il suo paradigma in film come Blade Runner e Matrix, e libri come quelli di Isaac Asimov (che ha indagato in parte queste tematiche), gli autori scelgono di approcciarsi ad un argomento di cui si è detto di tutto e di più.

Il risultato si può dire quindi originale? Lungi da me vantare una conoscenza dell' argomento tale da poterlo dire in senso assoluto, ma l' idea è piuttosto interessante nella realizzazione: un mondo in cui lo status simbol è rappresentato dal proprio replicante artificiale, tramite il quale vivere la vita di tutti i giorni senza timori di malattie, ferite, giudizi estetici. Quello che sembra a tutti gli effetti il sogno di chiunque è ottenuto al costo di una vita filtrata attraverso fibre ottiche e sensori di movimento, visto che si potrebbe benissimo non uscire mai di casa e svolgere ogni relazione umana attraverso il proprio replicante.

Le somiglianze con Blade Runner stanno anche nell' impostazione, visto che ci troviamo a tutti gli effetti davanti ad un poliziesco bello e buono, con tutti i risvolti filosofici del caso. Unici punti deboli della produzione possono essere il disegno (con uno stile minimalista graffiante, praticamente monocromatico, che piacerà o meno) ed un finale che si consuma troppo rapidamente. Merita comunque una lettura.

sabato 19 febbraio 2011

The Black Swan

The Black Swan si presenta come un film molto più estremo di quanto non possa apparire al primo sguardo. Per quanto si annoveri comunemente nel genere drammatico, le sue tinte sono più da horror psicologico. Orrore qui inteso in un' accezione del tutto peculiare rispetto a quella comune. Qui l' orrore non è dato tanto dai soliti salti sulla sedia (che pur ci sono), quanto da una costante sensazione di precarietà che si vive vedendo l' opera. Nina, la ballerina protagonista (una Portman in lizza per un a mio parere meritatissimo Oscar) affronta la necessità e la paura del cambiamento in una spirale di autodistruzione psicologica e fisica. Ella è un cigno bianco, perfetto nella sua innocenza ma intrappolato in un mondo infantile, che deve spiccare il volo, VUOLE spiccare il volo, a costo di tramutarsi nel suo opposto, il cigno nero, essere del tutto passionale ma il cui contatto con la realtà è fumoso.

Il suo progredire da un' innocenza galeotta verso un qualcosa di cui non ha padronanza passa attraverso i feticci sessuali (etero e omo), le allucinazioni, le strane metamorfosi, fino alla realizzazione finale. Come in The Wrestler, Aranofsky ci racconta di un' individuo che sacrifica il suo corpo alla sua arte, e come in quello alla fine pare esserci la glorificazione da parte del pubblico, anche qui il tòpos ritorna, forse con un effetto meno consolatorio, ma si parla ancora di personaggi che sfuggono a sé stessi nelle proprie performance.

L' artista vince quando l' uomo fallisce?

lunedì 14 febbraio 2011

"Tre uomini in barca, per tacer del cane", di Jerome Klapka Jerome

Nato quasi per caso (inizialmente avrebbe dovuto essere una sorta di guida turistica, l' editore ne tagliò quasi tutte le diserzioni vedendolo meglio come racconto comico), abbiamo tra le mani quello che sarebbe considerabile come il paradigma della comicità inglese, fatta di battute sottili e fortemente ironiche.

Il punto di forza del libro non sta tanto nel racconto principale (la gita lungo il Tamigi di tre amici. E ovviamente del cane), quanto nelle moltissime digressioni narrative episodiche, raccontanti di volta in volta simpatici episodi dal carattere fortemente comico, rendendole quasi meritevoli di un libro a parte (un pò lo stile de Guida Galattica per gli Autostoppisti). Parlando di costume, di navigazione, cucina, fatti storici, geografia, il racconto e questi "racconti nel racconto" creano un affascinante quadro di un' Inghilterra oggi in parte perduta, avendo alla resa dei conti un affresco davvero incantevole.

domenica 13 febbraio 2011

Il discorso del re

Le ricostruzioni storiche, specie quelle che s' incentrano sulla biografia (parziale o completa che sia) di un personaggio particolare corrono sempre il rischio di risultare ampollose e in definitiva pedanti, scadendo nella facile retorica del "ritratto glorioso" del suddetto personaggio. Sta allora alla maestria del regista e al carisma degli interpreti dare il giusto tono all' opera, ancor meglio quando il punto di vista adottato è più originale di quanto non ci si aspetti alla prima occhiata. Ne è un esempio Il Divo, che ci offre non solo un personaggio che, al di là di quello che è stato e ha fatto Andreotti, risulta filmicamente affascinante, ma si inquadra a tutti gli effetti come una vera e propria apologia sul potere.

Ne è per certi versi affine nello spirito Il discorso del re, che riesce a delineare perfettamente quello che è il dramma vissuto dal Duca di York (Colin Firth) su più aspetti di quanti non ci si possa aspettare. Quello che ne esce è un quadra di un monarca umanizzato, appassionato al suo paese ma dal carattere non facile, reso più difficile dalla balbuzia che ne erige un muro che lo separa dagli altri, a cui si aggiunge il difficile rapporto con la famiglia, ed una certa alienazione, pari solo al suo interesse, dall' uomo comune, di cui troverà un degno specchio nel logopedista Lionel Logue (Geoffrey Rush), che si lascia intimorire ben poco dalla regalità del suo paziente ("Mio il castello, mie le regole").

Quello che sembra essere a tutti gli effetti un polpettone si dimostra quindi sorprendentemente appassionante, e la realizzazione finale del protagonista coinvolge pienamente lo spettatore. Decisamente degno di una visione, e le 12 candidature agli Oscar di quest' anno sembrano ben meritate, se non addirittura degno della vittoria.

domenica 6 febbraio 2011

Nausicaa della Valle del Vento - Recensione


Più di mille anni dopo un olocausto nucleare, l' umanità è sull' orlo dell' estinzione per l' espandersi incessante della Foresta Tossica, popolata da insetti giganteschi e produttrice di spore velenose. Nausicaa è la principessa della Valle del Vento, uno dei pochi luoghi incontaminati rimasti. Quando la valle verrà toccata dal conflitto tra due potenze di questo mondo devastato, la principessa dovrà farsi coraggio per salvare quel poco che è rimasto all' umanità.

Potrei anche chiudere la recensione con due parole che sarebbero più che sufficienti: Hayao Miyazaki. Basta, finito, andate a vederlo!
Ma ritengo che qualche parola in più meriti di essere spesa. Parliamo sempre di una delle opere più famose del cineasta giapponese, riduzione peraltro dell' omonimo manga (sempre realizzato da Miyazaki).

Quelli che sono i più famosi canoni dell' opera miyazakiana (questione ecologica, tecnologia nemica, una protagonista combattiva, una natura fragile e potente, da rispettare e temere...) sono qui presenti, col rischio di annoiare chi ne abbia avuto fin sopra i capelli ma che di certo non potranno stancare chi ama il personalissimo uso che ne fa il regista, da sempre in gradi di narrare tematiche come l' ecologia e la pace con una sensibilità tutta sua.

Con tutti i pregi però torna uno dei suoi difetti più ripetuti, ossia un finale un pò affrettato, che lascia tutto un pò in sospeso. Nulla di tragico, alla fine sarete comunque soddisfatti, ma sembra che abbia talmente tante cose da mettere nelle sue pellicole che alla fine sacrifichi un pò la conclusione.

Tecnicamente siamo di fronte ad un prodotto indubbiamente datato. Le animazioni sono ancora di buon livello, il disegno piacevole e sempre personalissimo, ma è innegabile che il distacco dalle sue produzioni più recenti sia piuttosto netto. Comunque, tenendo conto della sua età, sono problemi su cui si può soprassedere del tutto.

Non posso soprassedere invece sull' audio: ho visionato la versione italiana realizzata per la messa in onda tv molti anni fa sulla Rai, e la qualità del doppiaggio, molto spesso, era davvero deludente. Non eccessivamente inficiante la visione (e quindi l' ascolto), ma tenendo a mente la qualità delle voci dei doppiatori da La principessa Mononoke in poi è innegabile che la delusione ci sia, figlia di un epoca in cui, a dispetto della lodevole intenzione di portarlo in Italia, evidentemente non si sono puntate troppe risorse sull' adattamento.

Un must see, meglio in giapponese.

Voto: 8,5

venerdì 4 febbraio 2011

Spice and Wolf - Recensione

In un' immaginaria Europa medievale, dominata dai grandi commercianti e dalla Chiesa Cattolica, un mercante ramingo, Lawrence Kraft, accetta di accompagnare fin nel lontano nord la dea lupo Horo.

Sono di sicuro interessanti e poco comuni i temi affrontati da Spice and Wolf. Raramente un anime tratta questioni come il ruolo della religione nella società e, soprattutto, i meccanismi dell' economia.

Certo non stiamo parlando della VERA Europa medievale, come dimostrano gli stati, le monete, i personaggi inventati, ma di sicuro non si discosta eccessivamente da quella che poteva essere l' Europa del tardo Medioevo (se non più prossima). Horo rappresenta tutto un sottobosco di culti pagani, risalenti a quando l' uomo era più debole e per questo, più che dominare la natura, cercava di conviverci. Con la diffusione del cristianesimo, però, gli uomini sembrano aver dimenticato in parte il tributo che devono agli antichi dei, cosa che ha fatto cadere questi ultimi nell' oblio. Horo, quindi, sentendo che il suo tempo tra gli uomini è ormai finito, decide di tornare alla sua terra natia nel nord. Allo stesso tempo, però, coglie l' occasione per viaggiare con un umano e approfondire la sua conoscenza di quest' animale bizzarro e arrogante che è l' uomo. E quale modo migliore per conoscerlo se non quello di viaggiare con un mercante, ogni giorno a stretto contatto con vari tipi d' umanità e soprattutto con la sua economia, specchio della società e della sua evoluzione?

Un avviso: parte del fascino della serie è legata alle lunghe discussioni sull' economia tra i protagonisti, che per quanto interessanti possano essere certe volte sembrano eccessivamente prolissi, ma visto il ritmo generalmente calmo della serie non è un grosso problema.

Tra i personaggi a rubare la scena è indubbiamente Horo, la cui caratterizzazione è meno ovvia di quanto non possa sembrare all' inizio. Di riflesso, Lawrence è un buon coprotagonista, che sa reggere all' esuberanza della prima.

Il fronte tecnico presenta alti e bassi. Un piacevole design cozza con un comparto d' animazioni nella media; nulla di scandaloso, ma una maggior cura sotto questo fronte non sarebbe stata sgradita. Poco da lamentarsi sul fronte sonoro. I brani sono tutti piacevoli (forse un pò ripetitivi), e a spiccare sono le sigle, d' inizio e soprattutto di chiusura.

A essere onesti, il più grosso problema di Spice and Wolf è di "non finire". Fin troppo chiaro che le vicende si concluderanno nella seconda serie, visto che questa finisce senza nessun particolare evento determinante. Quel che ho visto finora però mi è piaciuto, quindi il voto è anche basato sulla fiducia in una degna conclusione.

Voto: 8

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