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sabato 31 dicembre 2011

Rayman Origins [360] - Recensione



Sto realizzando solo adesso che, senza rendermene conto, possiedo buona parte dei giochi della serie Rayman. Rayman, l' originale per Playstation; Rayman 3 Hoodlum Havoc per PS2, e sempr eper PS2, se vogliamo contarlo, Rayman Raving Rabbids, il capostipite di quel trend che per anni ha affossato la serie in una serie di Party Game che hanno fatto perdere l' anima originale della serie, che per inciso è platform.
Per farla breve, grosso modo ho seguito l' evoluzione del brand, e giocare a Origins mi ha dato la sensazione di un "ritorno a capo", visto che il qui presente gioco ricorda fortemente il capostipite. Specie nel gameplay. Perché al di là dell' aspetto grafico a dir poco moderno, la giocabilità è quanto di più classico ci si possa aspettare da un gioco del genere.


Il gameplay del gioco si fonda in massima su quelle che in massima parte sono le canoniche situazioni e azioni del platform. Colpire i nemici, prendere le monete di turno (o Lum, nel caso specifico), azionare interruttori, correre, e soprattutto saltare, chiaramente. Certo, non dimentichiamoci il planare, azione che da sempre caratterizza l' Uomo Raggio made in France. Certo che progressi si siano fatti rispetto al 1995 si vede dal fatto che alcuni di quelli che all' epoca erano poteri acquisibili giocando come la famosa planata, o anche la capacità di appendersi alle sporgenze, qui sono abilità di default dei personaggi. E a proposito, che scegliate Rayman, Globox, o un Teen cambia poco, al di là dell' aspetto le abilità sono identiche, anche con le skin alternative (che non sono poche, ma sarebbe stato bello averne di più a disposizione per i primi due, che rispetto agli altri ne hanno pochissime).


Il controllo del personaggio segue l' andazzo "cool" dell' aspetto visivo, quindi saranno fluidissimi e velocissimi. Forse anche troppo. Infatti, se da un lato il gioco spinge a muoversi velocemente per riuscire a fare un discreto punteggio nella raccolta Lum (indispensabili per ottenere gabbie di Electoon extra, a loro volta indispensabili per diverse cose), e quindi è naturale che il personaggio scatti come una molla, dall' altro questa fretta più o meno provocata mi ha dato l' impressione che il personaggio tendesse un pò troppo ad andare dove gli pare. In particolare il tasto per la corsa mi ha creato problemi, perché senza nemmeno farci caso facevo scattare il personaggio in situazioni a dir poco sconvenienti. A dispetto di tutto, però, pur essendo un difetto non da poco, tutto sommato il controllo del personaggio è decisamente buono, e comunque il gioco si fonda essenzialmente su di un trial and error selvaggio, vista la necessità di sincronizzare le proprie azioni col meccanismo del livello per riuscire a fare punteggi decenti.


A venirci incontro il tal senso è l' ottima pensata di dare continue infiniti. Raggiunto uno dei numerosi checkpoint del livello, potremo morire quante volte vorremo, ripartiremo sempre da lì. Da un lato questo di certo smorza la difficoltà rispetto a giochi come Donkey Kong Country Returns, dove i gameover si sprecavano, ma dall' altro credo che ciò ammortizzi notevolmente il fattore frustrazione, che altrimenti avrebbe reso Rayman Origins il gioco più frustrante del millennio.
Ma la difficoltà dipende essenzialmente dall' approccio con cui giochiate. Se v' interessa unicamente arrivare alla fine del livello lo farete senza particolari difficoltà, anzi, vi risparmierete la maggior parte degli ostacoli. Se invece siete dei completisti, preparatevi all' inferno. Ma se posso permettermi, se rientrate nella prima categoria non compratelo nemmeno, al massimo giocateci da qualcuno, perché significherebbe perdersi la vera anima del gioco, considerando che solo cercando di ottenere tutti i Lum e le casse del livello riuscirete a vedere il sopraffino lavoro di level design dei programmatori, e il meccanismo millimetrico che muove il tutto.


Prima oltre che delle azioni ho nominato anche le situazioni. E pure qui rientriamo tutto sommato in situazioni classiche per il genere, con piattaforme che cadono, che si spostano (come il classico serpentone da seguire), sessioni di volo con Mosquito (forse un pò abusate, ma le ho trovate ben più divertenti di quelle nel barile di Donkey Kong Country Returns), fughe (molte), e anche gli inseguimenti, questi forse piuttosto freschi, non mi vengono in mente altri esempi del genere. In particolare a risaltare sono gli inseguimenti dei forzieri, contenenti i Denti del Teschio necessari per accedere al mondo segreto. Queste saranno sfide via via più impegnative, anche MOLTO impegnative, probabilmente in un paio di casi pure frustranti.
Ma qua ci vuole una tirata d' orecchio fortissima! Uno di questi inseguimenti è buggato. Vedere per credere. Io sono riuscito a superarlo per puro caso, ho sentito che dipende dal fatto che si plani o meno, ma sostanzialmente ci vuole molta fortuna. Sinceramente mi sconvolge che Ubisoft non abbia ancora rilasciato una patch per correggerlo.
By the way, la longevità pur non essendo sconvolgente è discreta, sempre stando il fatto che se mirate semplicemente a correre attraverso i livelli per vedere la fine vi durerà non più di tre giorni scarsi.


E parliamo della grafica. Origins è il primo gioco a sfruttare il motore proprietario della Ubisoft, Ubi Art, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Lo stato dell' arte del 2D. Abbiamo a che fare con una qualità (sia in termini puramente tecnici che di design) al pari se non superiore alle migliori produzioni animate di sempre. Tanto che sarebbe davvero un occasione sprecata non utilizzarlo per realizzare un lungometraggio o qualcosa del genere! E tanta meraviglia grafica è accompagnata da un comparto musicale che definire ispirato è poco. Procuratevi l' OST prima di adesso!


Poco altro da aggiungere. Vi invito a comprare in massa il gioco, visto che non sta facendo gli sfracelli che meriterebbe di fare. Una buona volta che esce un gioco con un pò di personalità, supportiamolo. Tra l' altro di sicuro scenderà presto di prezzo, quindi non avete più scuse.


Grafica: 10
Sonoro: 9
Giocabilità: 8,5
Longevità: 8


Voto: 8,5



giovedì 29 dicembre 2011

Star Driver - Kagayaki no Takuto - Recensione

Takuto, ragazzo di quindici anni, si trasferisce in un isola del sud del Giappone, l' Isola della Croce del Sud. Diventerà ben presto popolare nella scuola del posto, e stringerà amicizia soprattutto con Sugata, membro di un antico casato, e con Wako, una delle sacerdotesse dell' isola, promessi sposi.
L' isola però non è tranquilla come sembra. Essa infatti ospita l' organizzazione segreta nominata Croce Scintillante, mirante a spezzare i sigilli delle quattro sacerdotesse in modo da liberare il potere dei Cybody, colossali robot da combattimento, nel mondo reale, essendo relegati ad una dimensione parallela nominata Tempo Zero. Quello che né l' organizzazione né nessun altro poteva aspettarsi però è che anche Takuto sia uno Star Driver, ossia un pilota di Cybody.


Mi avvicinai a Star Driver forte di una forte astinenza di robottoni, che magari alla lunga stancano, ma prima o poi te ne torna la voglia. A convincermi definitivamente a seguire la serie è stato uno sguardo fugace ad una scena di combattimento, che come tutte si svolge nel Tempo Zero, il cui aspetto richiama molto quello dello scontro finale di Tengen Toppa Gurren-Lagann. Ma proprio i combattimenti sono la parte più ambigua della produzione. Perché se da un lato sono animati magistralmente e sono piuttosto spettacolari, dall' altro il loro svolgimento a lungo andare diventa piuttosto deludente. Il problema principale è che Tauburn (il Cybody di Takuto) è fin troppo potente. Il 90% dei combattimenti viene risolto nel giro di pochi minuti, e spesso usando il solito colpo finale (questa del colpo finale diventerà un problema ancor più grosso nella seconda metà dell' anime, in cui TUTTI i combattimenti vengono risolti da un unico colpo infallibile, che onestamente fa pensare"Allora perché non lo usi subito?", anche se già così certi scontri finiscono prima che uno se ne renda conto. Tanto figuriamoci se qualcuno lo schiverà!). Anche quando apparentemente il nemico è più forte, in media non ci vorrà più di un colpo subito che Takuto ribalterà la situazione quasi miracolosamente. E dove non arriva la sua abilità ci pensano botte di culo spaventose (come nemici che si intralciano). Onestamente pur di avere un pò di varietà ho fatto anche il tifo per i cattivi.
Comunque, a dispetto di tutto ciò, i combattimenti non sono del tutto noiosi. C' è sempre la curiosità di vedere quale sarà il prossimo Cybody a sfidarlo, e quale sia la sua tecnica peculiare. In tal senso l' anime è davvero prolifero, contando anche una discreta originalità nel design dei mecha, che per certi versi richiamano uno stile piuttosto retrò, e certe volte il risultato va anche oltre, con risultati decisamente "insoliti" (basti vedere proprio Tauburn. Cos' è? Un dandy-pirata-spadaccino-drag queen (quelle scarpe sono sospette) ?).


L' altra metà dell' anime, che poi è quella più corposa, è quella riguardante le interazioni trai personaggi, che si dividono tra i canoni della commedia scolastica e le discussioni e i piani dei membri della Croce Scintillante. E anche qui l' ambiguità regna sovrana! E non solo perché buona parte del cast è costantemente allupata (d' altronde hanno 15 anni a testa, pieno risveglio ormonale). Ambiguo perché qui c' è il più grande mescolarsi tra buoni e cattivi che abbia mai visto. I membri della Croce Scintillante sono compagni di scuola di Takuto & co., quindi passano dal chiacchierare amorevolmente allo scannarsi a bordo dei robot. Cosa che crea uno dei principali buchi narrativi dell' anime: se tutti sanno chi sia Takuto e dove abiti, perché, a dispetto di tutti i robot che gli distrugge, non vanno là scannarlo nel sonno?
D' altronde neanche i buoni brillano per intelligenza. Takuto sembra ignorare del tutto il fatto che già dalla prima puntata sappia benissimo dove si trovi la base dei nemici.
Comunque gli scambi tra i personaggi devo dire che sono abbastanza originali rispetto ad altri prodotti simili. Pur essendoci la solita dose oscena di rossori, parlano tra di loro molto più francamente di quanto non mi aspettassi, e tutto sommato il cast si rivela molto interessante, specie considerando la quantità di individui da trattare (quasi tutti, tra buoni e cattivi, hanno il loro approfondimento). Certo alla lunga ho avuto l' impressione che ne risentissero un pò i protagonisti, la cui caratterizzazione è comunque valida. Ma è ancora Takuto il problema. Anche se alla fine il suo passato ci è stato svelato a pezzetti e bocconi, ci sono ancora molte questioni poco chiare o del tutto non trattate (come da dove venga quel fottuto Tauburn. O anche tutti gli altri Cybody, visto che sulla loro origine non c' è mezzo accenno).


A dare però il colpo finale ad una trama che per quanto bucherellata reggeva molto bene è il finale. Che non c'è. E' il terzo anime di fila che vedo che ha un finale intempestivo e per nulla soddisfacente. La battaglia si conclude decentemente, ma dopo? Cosa succede dopo?! Mi spiace tirarlo ancora in ballo, ma proprio Gurren-Lagann fece di molto meglio in tal senso.


Ho accennato che le battaglie sono animate magistralmente, ed è così. Dal punto di vista tecnico e artistico rappresentano senza il minimo dubbio la parte meglio riuscita della produzione, almeno dal punto di vista visivo (anche se soffrono molto del riciclo delle sequenze imprescindibili, come l' entrata in scena dei mecha e il colpo finale). Non che il resto sia fatto male, anzi. Le animazioni "quotidiane" sono buone, con dei picchi notevoli in certe sequenze (in particolare quando un certo personaggio sta sotto la pioggia). Il disegno dei personaggi, rispetto a quello dei mecha, è forse un pò troppo tradizionale, ma alla fin fine è molto efficace (e di certo contro bilancia le divise della Croce Scintillante). Un' unica domanda: ma perché tutto quel rosa nella scuola?
Molto valido il comparto sonoro, con musiche decisamente sopra la media, e a risaltare sono le canzoni che spesso preludono agli scontri (forse ripetitive, ma per fortuna prima che una venga a noia ne subentra un' altra).


Star Driver è una serie piacevolissima, che si lascia guardare senza troppi problemi. A dispetto dei diversi buchi narrativi e una certa ripetitività negli scontri la noia non ha mai fatto capolino. La sua originalità lo rende consigliabile anche a chi cerchi qualcosa di leggermente diverso dal solito, e in tal senso la serie soddisfa pienamente.


Voto: 8

Apocalypto

La crudezza di particolari che aveva caratterizzato La passione di Cristo ritorna nel seguente film firmato Mel Gibson. Ma dove nel primo l' insistenza su quei particolari era inutile e fine a sé stessa (mantenendo il mio giudizio sotto un profilo puramente cinematografico, non religioso), qui la violenza diventa mezzo di espressione della lotta per la sopravvivenza nel ciclo "uomo mangia uomo", mostrando come mai prima d' ora la spietatezza della cultura religiosa Maya.
Mi chiedo se la lingua parlata per tutto il film (rigorosamente sottotitolato) sia l' effettivo linguaggio precolombiano o un idioma creato per l' occasione. In ogni caso, il risultato è degno di nota, al pari dell' aramaico del precedente film.
Interessante riflettere su quale possa essere il significato del titolo, interpretabile sotto vari punti di vista, in merito comunque al significato di "fine del mondo", sia per l' eclissi, sia per il suddetto ciclo autodistruttivo dell' uomo, per l' appunto in merito al finale, che lascia intendere come l' apocalisse si stia avvicinando per quel mondo (decadente?) per far spazio quasi ad un nuovo predatore.

La strana coppia

Se c' è una coppia classica della comicità che rimpiango è quella recentemente dipartita di Lemmon/Matthau. Difficile trovare infatti un' altra coppia così opposta ma allo stesso tempo così complementare. Fondando la loro comicità principalmente sul contrasto tra i loro personaggi, creano un' atmosfera che la comicità moderna ha perduto del tutto.
Ne è un esempio La strana coppia, prima trasposizione cinematografica dello spettacolo teatrale del 1965, e ragazzi, difficilmente si poteva trovare altri interpreti altrettanto adatti al ruolo.
Matthau ispira subito la simpatia dell' amicone trasandato, mentre Lemmon fa venire l' ansia della "suocera in casa" persino allo spettatore.
Recuperatelo, è un pezzo di storia del cinema e della comicità

martedì 27 dicembre 2011

First Squad - The moment of truth - Recensione

Nel pieno dell' Operazione Barbarossa, ossia dell' invasione nazista del 1941 in Russia, Nadia, una giovane orfana di guerra, gira per il paese come fenomeno da baraccone esibendo le sue doti psichiche straordinarie, inconscia di quello che sarebbe dovuto essere il suo ruolo nel conflitto, che avrebbe determinato non solo il destino della Russia, ma anche del mondo dei vivi e dei morti.


Nato come videoclip musicale (First Squad), The moment of Truth ne recupera personaggi e... quasi basta. Se la clip lasciava immaginare battaglie tra russi e tedeschi per un incandescente anime guerraiolo, l' OVA ci propone si questi elementi, ma mixati con misticismo, presenze soprannaturali, poteri esp e quant' altro. Confusi? Anche io. Il film così corre il rischio di non essere né carne né pesce, o meglio, lo correrebbe, se non fosse che l' elemento fantastico pesa sulla trama ben più di quello bellico, quindi la sua anima è piuttosto chiara, specie considerando che l' idea è piuttosto interessante (pur essendo l' ennesima rivisitazione dei supposti esperimenti nazisti con demoni-zombie-anticristi vari e via dicendo).
Ma chiarita la sua identità, l' anime si dimentica di consolidarla, dando a tutto il film un' impronta di campato per aria che lo affossa. Troppe situazioni, troppi personaggi non ricevono un' adeguata introduzione, e tutti mancano di una conclusione. Non si parla nemmeno di un finale aperto, quasi tutto il cast finisce nel dimenticatoio. Non solo, ma anche la protagonista ha una caratterizzazione frammentaria, dedicando troppo tempo a cose inutili (a che pro mostrarci l' ennesimo flashback di lei felice in passato con i genitori? Dovremmo capire che le mancano? Solo al terzo flashback?!).


Approfondimenti psicologici inutili o superficiali, sono questi ad affossare quelle che sono le intenzioni della produzione. Ad affossarne la trama nuda e cruda ci pensano i suddetti buchi. Per fare un esempio, chi sono le gemelle? Da dove vengono? Che fine fanno? Ma soprattutto a che servono se tutte le loro comparse si riducono a nulla di concreto, scene che se fossero eliminate (a parte la prima) non cambierebbero di una virgola la trama.
Ma tutte queste considerazioni nascono dalla lunghezza di First Squad, ossia meno di un' ora, tempo del tutto insufficiente per sviluppare al meglio tanti personaggi e un intreccio all' apparenza così complesso.
Se cose secondarie ricevono troppo spazio, altre più importanti vengono del tutto accantonate, come la relazione "postuma" tra i protagonisti (si parlano come se fosse roba di tutti i giorni!).


Non tutto è da buttare comunque. Le scene d' azione sono piuttosto buone, e la qualità tecnica generale è davvero buona.
Doverosa parentesi sul doppiaggio. Ho visto il cartone con il doppiaggio russo. Per quanto faccia bene all' atmosfera del film, la qualità media della recitazione era scandalosa, e creava anche il nonsense di sentir parlare in russo anche tedeschi che discorrevano tra loro. Non so se esistano altri doppiaggi (il film non vale certo la pena di una seconda visione!), ma se doveste trovarlo in giapponese, chiaramente preferite quello.


Visto da fuori sembrava quanto meno interessante. Vistolo tutto invece lo dimenticherete piuttosto presto. Giusto nel caso vogliate togliervi lo sfizio e poter dire "Io l' ho visto".


Voto: 5.5

giovedì 22 dicembre 2011

Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street

Un' occasione sprecata. Premetto che il musical non è propriamente il mio genere preferito, ma sono il primo ad acclamarlo quando i risultati sono di un certo livello (su tutti The Rocky Horror Picture Show), ma qui di magagne ce ne sono fin troppe. Anche se alla fine il risultato è migliore di quanto la prima mezzora di film mi stesse facendo temere, l' impressione iniziale che Burton l' abbia fatta fuori dal vaso è ancora presente.
La prima (notata dal primo minuto di visione) delusione, e quella che ne ha decretato la morte, visto il genere, è la qualità delle canzoni, davvero inferiore alle aspettative, specie considerando che i suoi film precedenti (soprattutto Nightmare Before Christmas) avevano dei brani decisamente più memorabili. Ma qui, tranne forse un paio di canzoni, di motivetti accattivanti non ce ne sono, per non parlare dei testi, davvero imbarazzanti.
Le prove canore degli attori non sono male. Non mi sono strappato i capelli per nessuno, ma allo stesso tempo nessuno mi è parso osceno. Devo dire invece che i personaggi del ragazzo e della figlia di Todd sono noiosi a dir poco. Meno male che si vedono poco.
Con un pò d' infamia e poca lode. Non credo vi perdiate nulla a non vederlo.

Sherlock Holmes - Un gioco di ombre

Questo film è allo stesso tempo sia migliore che inferiore rispetto al primo. L' inferiorità sta nel fatto che alcuni potrebbero trovarlo meno intrattenente dell' originale. E per certi versi hanno ragione. Quella spensieratezza di fondo del primo film qui si è molto attenuata. Per quanto i caratteri dei personaggi siano gli stessi, le vicende che li vedono per protagonisti li metteranno a prova ben più di quanto sia successo prima. D' altronde qui abbiamo a che fare con Moriarty, un villain decisamente più ostico (e più concreto) di Blackwood, che sposta la sfida di Sherlock Holmes su un piano più elevato, come se i due fossero due forze antitetiche che non possono sopravvivere senza l' eliminazione assoluta dell' altro: un genio votato al bene e uno votato al male.
Per quanto il film viaggi sullo stesso livello qualitativo dell' originale, è innegabile che narrativamente parlando sia maturato molto.
Non si fraintenda, comunque. L' ironia è ancora presente in grossi dosi, e la coppia Downey Jr./Law riserva ancora piacevoli siparietti.
I veri problemi semmai sono alcune forzature nei piani di Holmes (più coincidenze miracolose che astuzie geniali) e qualche buco narrativo (come la necessità narrativa della zingara, fortemente inspiegabile). Nulla di tragico, ma che di certo fa perdere qualche punto rispetto all' originale, che contentandosi di un intreccio più "semplice" riesce comunque a mantenerlo coerente.
L' intrattenimento comunque c' è, presentando alcune delle migliori scene d' azioni dell' anno trascorso.
Due parole sul cattivo. Personalmente non ho gradito molto l' attore scelto per interpretare Blackwood. Non che abbia recitato male, ma per la parte credo che qualcuno capace di apparire più inquietante avrebbe giovato al ruolo. Quando poi iniziarono i rumor secondo cui Moriarty sarebbe stato interpretato da Daniel Day Lewis, impazzii di gioia, visto che lui avrebbe sicuramente saputo rendere ben più che inquietante un personaggio come Moriarty. Inizialmente fui deluso di sapere che Jared Harris avrebbe invece avuto la parte, ma vedendolo su schermo credo che sia stata una performance più che ottima. A differenza di Blackwood, che in quanto studioso dell' occulto avrebbe dovuto avere delle sembianze più "malefiche", Moriarty si sarebbe dovuto presentare come un tipo da cui inizialmente non si sarebbe dovuto temere nulla, un professore d' altronde non può essere spaventoso. Ma all' occorrenza il personaggio ha saputo svelare i suoi tratti più oscuri. Harris ha saputo trasporre bene il personaggio sotto questo punto di vista, quindi alla resa dei conti lo promuovo pienamente.
Consigliabile a tutti, meno che ai detrattori del primo, che comunque potrebbero dargli un' occhiata, ne è più che degno.

venerdì 16 dicembre 2011

Redline - Recensione

La Redline è la corsa più micidiale e attesa dell' universo. Le sue selezioni durano 5 anni e pochi sopravvivono ai suoi circuiti mortali. JP, spericolato pilota che si rifiuta di montare armi sul suo veicolo, riesce quasi per caso ad essere ammesso tra i partecipanti della prossima gara, svolgentesi su Roboworld, pianeta per niente d' accordo con la presenza dell' evento sul suo suolo, e che farà di tutto per eliminarne i concorrenti.


Ci sono opere il cui valore va oltre il mero giudizio della trama. Inutile fare tanto i filosofi, per quanto ad essere ricordati nel profondo nel cuore siano quegli anime che ci hanno colpito profondamente l' animo, chiunque dica che, avendo a disposizione una copia di Evangelion 2.0 e cinque minuti da riempire, al 90% preferirebbe vedere una delle (meravigliose) scene di dialogo tra i personaggi e non uno degli apocalittici combattimenti che vi si svolgono, è un ipocrita bell' e buono e merita solo sputi e bastonate. Con le dovute proporzioni, Redline s' incastra perfettamente nel discorso fatto finora.


Le dovute proporzioni stanno nel fatto che Redline non ha le ambizioni narrative di un Evangelion a caso, anzi, siamo su livelli appena superiori a Fast 'n Furious in tal senso. Ma un pò come per Bayonetta, giudicare il prodotto in base alla trama sarebbe impietoso e ingiusto, visto che qui a dover essere oggetto della nostra attenzione (e che di sicuro ha ricevuto quella dei realizzatori) è la messa in scena visiva, una delle più massicce, travolgenti e superlative come non se ne vedevano da un pò. Le forze dello Studio Madhouse si sono unite a quello Gainax (tra le migliori in quanto a spettacoli offertici in passato) per realizzare il film che avrebbe dovuto ridettare gli standard qualitativi del settore. Sette anni di lavoro che non sono stati per niente gettati al vento, poiché credo basti dare uno sguardo ad un trailer qualunque per rendersi conto di con cosa abbiamo a che fare. Il design è graffiante e fresco, quasi una versione estremizzata e "animezzata" di Star Wars. gli scenari sono vividi, le animazioni su livelli che vanno oltre l' eccellente, e non si notano cali di qualità nemmeno nelle scene più caotiche e movimentate (che non mancheranno), dove si aggiunge un' effettistica superlativa. Tanto spettacolo merita di essere rivisto più volte, tanto che consiglio anche due visioni consecutive, la seconda per focalizzarsi sulle immagini che scorrono se ne avete visionato una versione subbata (in inglese, nel mio caso).


Doveroso comunque dire che dove il film inciampa è nell' aver lasciato in sospeso la trama forse più del dovuto. Non tanto per una ovvia ingenuità di fondo, quanto per il finale, davvero troppo improvviso (dopo tutta quella baraonda non ci fate vedere cosa succede dopo?! Neanche un pò?); potrebbe lasciare l' amaro in bocca, ma come ho detto nel caso specifico quello che si ottiene in cambio è ben valido del gioco.


Del comparto sonoro vorrei sottolineare il doppiaggio, poiché le ottime voci (difficile trovare un anime doppiato col sedere in lingua originale) vengono supportate da tutta una varietà di effetti sonori che distorcono, alternano e personalizzano la voce del personaggio a seconda della razza aliena. Un dettaglio che dà davvero sapore al tutto.


Per molto tempo non vedremo nulla di meglio, almeno dal punto di vista grafico. Certo, Evangelion 3.0 si avvicina, ma fino ad allora direi che Redline come palliativo sia più che sufficiente. E se questo è un palliativo, c' è da aprire la vodka e fare all' amore libero.


Voto: 8.5

giovedì 8 dicembre 2011

Arrietty - il mondo segreto sotto il pavimento - Recensione

Arrietty vive con la sua famiglia nelle fondamenta di una casa di campagna. Essi infatti sono dei Borrowers, o dei Prendi-In-prestito, esseri in tutto simili agli uomini meno che per la statura, essendo di fatto alti pochi centimetri. Essi vivono di ciò che trovano in natura e nella casa degli uomini, prendendo solo ciò di cui necessitano per sopravvivere.
La loro regola è quella di non farsi avvistare assolutamente dagli esseri umani, che potrebbero dargli la caccia. Ma Arrietty infrangerà questa regola quando nella casa arriverà Shoo, un ragazzino malato di cuore.


L' ultima produzione dello Studio Ghibli è perfettamente riconoscibile fin dalla scena d' apertura. Richiamando altri film quali La città incantata o Il mio vicino Totoro, Arrietty si apre con una sorta di trasloco in campagna, luogo che evidentemente nella fantasia di Miyazaki è ancor più popoloso di quanto non lo sia già normalmente in natura. Probabilmente condivide con Shigeru Miyamoto (creatore di Super Mario) l' esperienza giovanile dell' esplorazione del giardino di casa, alla ricerca dei suoi segreti, di nuovi insetti da scoprire e di quant' altro possa stimolare la fantasia di un bambino.
Arrietty, come ha fatto soprattutto Tororo, parla proprio di quei segreti che si annidano nelle case di tutti che molti non conoscono, che alcuni hanno solo intravisto. Ma il mondo in cui vive Arrietty è più "crepuscolare" di quello in cui vive la mascotte dello Studio Ghibli. Ed è proprio su questa filosofia da "viale del tramonto" che s' instaura il rapporto tra la protagonista e il ragazzino umano Shoo: lei fa parte di una razza di cui ormai rimangono pochi membri, forse nessuno all' infuori della sua famiglia; lui, a causa del suo cuore forse non potrà mai diventare adulto. E allora entrambi sono costretti a diventarlo precocemente, accettando il loro precario destino, che tra l' altro li porterà ad avvicinarsi superando la naturale diffidenza che separerebbe altrimenti due membri delle loro razze.
Concettualmente però pariamo più dalle parti de La principessa Mononoke, ossia la necessità di rispettare la natura e di pagarle il giusto rispetto, sia anche nelle sue forme più piccole. Classico materiale Ghibli, per intenderci.
Unico mezzo neo è il villain: durante la visione mi chiedevo il perché di un comportamento così antipatico e apparentemente immotivato!


Le proporzioni minuscole dell' avventura di riflettono sul piano visivo. Stavolta a rappresentare il fantastico è soprattutto il mondo degli uomini visto dai Borrowers, colossale e misterioso. E non ci si avventura molto oltre il giardino di casa, che però è un tripudio di colori e vita, in una delle rappresentazioni naturali più semplici ma incantevoli che lo studio ci abbia offerto. Il tutto accompagnato da una colonna sonora non invasiva che si adatta perfettamente alla visione.


Non è il capolavoro che bisserà i mostri sacri del passato firmati Ghibli, ma Arrietty è un prodotto più che valido, anzi, decisamente buono, largamente consigliabile a chiunque.


Voto: 8

Barry Lyndon

La grandezza di un film ad ambientazione storica si giudica dalla maestria con cui il regista di turno sa ricreare con dovizia di particolari il momento storico da lui inquadrato. Di certo, avendo a che fare con un film di Stanley Kubrik, si può dormire tra due guanciali.
La cosa più sorprendente, nonché migliore qualità del film, è come esso non risulti per niente pesante durante la visione, della durata di circa 3 ore, specie considerando come sia un film dal ritmo piuttosto lento, che non ha la minima paura del prendersi il suo tempo per descrivere una scena o un passaggio narrativo.
Ma la pellicola trasuda fascino, inutile discuterne. Tra la sontuosa messa in scena, la superba colonna sonora, e la trama appassionante, il film rientra degnamente nel novero dei capolavori del film storico.
Prendetevi una serata in cui volete rilassarvi per vederlo, la lunghezza lo richiede, il film lo merita.

martedì 29 novembre 2011

"La Vita, l' Universo e tutto quanto", di Douglas Adams

Vi consiglio di prendere seriamente questo libro. Perché slo così sarete in grado di vederlo e leggerlo, perché come c' insegna la fisica più elementare qualsiasi cosa sia un Problema Altrui tende a non essere vista da terzi, e quindi a essere pressoché invisibile.
Questa e altre chicche fanta-assurde si aggiungono a quelle precedentemente incontrate in quella fantastica serie di "Sci-fiction comedy" iniziata con Guida galattica per autostoppisti, proseguita con Ristorante al termine dell' universo, e giunta con questo al terzo capitolo (su 5).
La verve "coerentemente" delirante della narrazione di Douglas viene qui riconfermata, in un intreccio che porterà i protagonisti a scoprire nuovi e sconcertanti segreti sul funzionamento di questo pazzo, pazzo universo.
Inutile approcciarvisi senza aver letto i prequel, vista l' abbondante quantità di riferimenti ai predecessori. E poi dico, finalmente si risolve il quesito del vaso di gerani del primo libro. Credo che solo solo per questo dobbiate leggerlo!

martedì 22 novembre 2011

"Wolverine: Old Man Logan", di Mark Millar e Steve McNiven

Millar è uno che la mano la calca pesantemente. Se da un lato certe volte sembra che questo suo esagerare sia anche eccessivamente fine a sé stesso (come nel caso di Nemesis), in altri tanta cinica violenza è riconoscibile come una boccata d' aria in un panorama fumettistico qual' è quello dei super eroi che in genere, nonostante i grossi passi avanti rispetto al passato, ancora si mostra refrattario a superare certi limiti di super violenza. Insomma, alcuni lo troveranno di cattivo gusto (anche perché, bisogna dirlo, non basta farcire i dialoghi di parolacce per rendere un testo adulto), ma di sicuro se si vuole leggere qualcosa di politicamente scorretto nel settore mainstream è ai suoi scritti che bisogna indirizzarsi.
Old Man Logan credo sia spiritualmente più affine proprio al Millar degli albori di Wanted che a quello più prossimo di Nemesis. Innanzitutto, chiaramente, per il suo recupero dell' idea di un mondo dominato dai supercattivi, coalizzatisi per uccidere i supereroi (e stavolta abbiamo per di più a che fare con personaggi noti a tutti, il che rende la cosa ben più gustosa). Senza contare che stavolta abbiamo un vero filo conduttore della trama, ossia il nuovo modo di vivere del più letale dei mutanti, piuttosto che una pretestuosa accozzaglia di massacri ed esplosioni.
Certo l' essere legato ad una continuity con i suoi personaggi e le sue regole rende la lettura della miniserie piuttosto ostica ai neofiti, magari non tanto nel seguire la trama, ma nel poter apprezzare situazioni che nelle storie principali non sarebbero mai potute verificarsi, non certo almeno con questo grado di crudezza.
Conscio del fatto che Millar ha già affermato di voler scrivere un seguito (mi chiedo come viva costui senza clonarsi, visto che la Marvel lo strizza più di un limone), raccomando a tutti di recuperare questa storiella davvero goduriosa, che penso possa essere annoverata tra i migliori spin off fumettistici mai realizzati.

domenica 13 novembre 2011

Dark Souls [360] - Recensione



La recente uscita nei negozi di Skyrim mi ha fatto riflettere su quale potrebbe essere il fulcro della differenza tra lui e Dark Souls. Piuttosto ovvio quale sia, ma mi chiedevo quale metafora potrebbe riassumere meglio un approccio così diverso eppure complementare al genere degli RPG. Come si è detto in una delle pagine del topic sul gioco From Software sul forum di Inside The Game, questi punta tutto sulla sfida, mentre il secondo sull' immersività. Ecco, se Skyrim (e la filosofia Bethesda riguardo il genere) è come una sorta di trecking, che si autoesaurisce nell' esplorazione del paesaggio scelto, il secondo è come l' alpinismo più estremo, una continua sfida alle nostre capacità pratiche contro sfide superiori apparentemente alle nostre forze.
Questo per dire che stiamo parlando, probabilmente, del gioco mainstream più fottutamente e bastardamente difficile da molti anni a questa parte.

Non c' è molto con cui barare nel gioco. Salire di livello aiuta, ma relativamente, visto che i nemici si fortificheranno con voi. Io sono a livello 204 al momento, e salvo per i nemici più fessi, i pericoli sono ancora tutti lì. Ancor più che in altri giochi con un sistema di sviluppatore giocatore/nemici parallelo come questo, qui il potenziarsi non sarà mirato tanto al surclassare in potenza i nemici, quanto nel' ampliare il proprio campo di possibilità, come ottenere più stamina per poter parare gli attacchi infertici più efficacemente, più slot per le magie utilizzabili, o ancora incrementare la propria forza per poter brandire armi più pesanti e potenti, ma di contro più lente da maneggiare.
Gran parte del fascino nella costruzione del personaggio (legata ad una scelta di classe iniziale ma totalmente libera progredendo nel gioco), che rifletterà il vostro approccio alle insidie del gioco. Tra armi bianche di varia misura e forma, attacchi magici in quantità e armi a distanza (potremmo annoverare anche gli scudi tra le armi!) la scelta non mancherà, ma basta che sia ponderata, poiché sarà importante che troviate al più presto un approccio che vi sia congeniale in tutte le occasioni, perché in DS cambiare tattica a seconda del momento sarà vitale.

Se il personaggio avrà tutta una serie di possibilità offensive e non sarà solo un tentativo di metterlo in grado di sopravvivere in un mondo che lo braccherà in ogni momento con tutti i mezzi a sua disposizione. Anche il nemico più banale in DS non va sottovalutato, poiché offrire le spalle al più banale zombie con spada rotta in mano, se sottovalutato, sfocerà nel gameover. Qualsiasi nuova area visiterete presenterà le sue sfide peculiari, sia in fatto di nemici veri e propri che di pericoli ambientali. Spessissimo infatti v' incamminerete per sentieri costeggianti strapiombi mortali, o anche trappole meccaniche con lo scopo di danneggiarvi o magari buttarvi di sotto, e se sopravvivrete alla caduta potreste ritrovarsi d' improvviso davanti ad un inaspettata, potente mostruosità. I nemici sono tanti, vari, e soddisfacenti da uccidere, specie progredendo nel gioco e notando come una difficoltà insormontabile, trovato il giusto approccio, diventa facilmente aggirabile.

In questo discorso di difficoltà un capitolo peculiare è rappresentato dai boss. DS offre alcune delle più intense, massicce, e toste di questa generazione. Certo, un genere di "massiccio" diverso da quello che può trovarsi in un Bayonetta, per dire, ma proprio la dimensione più umana del proprio personaggio dà al tutto un tono di epicità più concreto dell' action game medio, visto che la disparità di forze in campo è molto più sentita qui. Certo, non siamo del tutto salvi dall' effetto "tutto fumo e niente arrosto", ma, ancora una volta, un approccio superficiale e sottovalutante agli scontri si tradurrà inevitabilmente in una disfatta totale.

Difficilissimo quindi. Frustrante? Questo è qualcosa che solo chi gioca, di volta in volta, potrà dire, ma ritengo che certe situazioni (molto poche, fortunatamente) rientrino inevitabilmente in questa categoria. Quello che potrebbe snervarvi, specie nelle prime sessioni, dove sarà più frequente, sarà il morire e perdere tutte le anime (corrispondenti ai punti esperienza e ai soldi del gioco) raccolte faticosamente. Ma per quanto riguarda la mia esperienza personale, superato il primo scoglio enorme del Borgo dei Non Morti (seconda partita: un' ora per non essere avanzato di fatto di mezzo metro!), picchi di frustrazione simili non li ho provati più, salvo magari qualche situazione, comunque superata.

Qualcosa che invece è obiettivamente frustrante è la politica sul gameplay del gioco, che poi riflette la generale tendenza che ha a lasciarvi a voi stessi senza dirvi nulla su come avanzare o fare qualcosa. Ma se posso accettare che non mi sia data nessuna indicazione su dove sia la prossima porta da imboccare per avanzare, e magari perdere tempo a cercarla, davvero è inconcepibile la più totale assenza di una guida sul funzionamento del multiplayer, elemento non fondamentale ma in potenza molto importante nell' esperienza di gioco. Il manuale di gioco è molto parco nelle indicazioni sul suo funzionamento, e la mini (ossia inutile) guida ufficiale scaricabile con la limited edition non dice nulla al riguardo, tanto che più ancora che sui tentativi a vuoto la mia conoscenza dei suoi meccanismi deriva da quello che ho letto nei forum. Era davvero così difficile dirci che è impossibile invocare un amico? O che se vai in chat vocale con qualcuno il gioco va in modalità off line? O che si può invocare ed essere invasi da giocatori la cui differenza di livello dalla nostra sia al massimo di 10? E ancora, perché scelte così assurde come non poter giocare selettivamente con amici, ma soprattutto non poter usare alcuna chat vocale? Considerando quanto aiuterebbe coordinarsi in combattimento è una bella mancanza, ed è un peccato, perché quando si riesce a giocare con qualcuno (sia in coop che in PvsP) le soddisfazioni non mancano, come eliminare insieme un boss, decisamente più soddisfacente che con un NPC.

Passiamo a discorsi più tecnici. Pur non essendo un gioco di fascia tripla A, DS è un gioco più che dignitoso, anzi, molto dignitoso dal punto di vista grafico. Le texture, la modellazione dei personaggi, le animazioni, il livello di dettaglio generale e l' effettistica sono ottimi, e il suo non essere un mammut della tecnica traspare da sbavature quali le ombre, proiettate certe volte decisamente alla cazzo di cane, e da un pò di bug, come frecce che si conficcano nel vuoto (specie se scoccate molto vicino ad una struttura) e il personaggio lanciato in aria senza motivo. Roba che comunque inficia in minima parte l' esperienza. Semmai a dare maggiormente nell' occhio sono robe come i rallentamenti, molto vistosi in certi colpi d' occhio (comunque molto carichi), e le telecamere, generalmente non problematiche, ma in certe location con molti elementi a stringere l' ambiente ne provocano un rimbalzamento fastidiosissimo (regina in questo è la Città Infame, provare per credere).

Comunque, dove la potenza manca, l' ispirazione sopperisce. Dark Souls è uno dei giochi (se non IL gioco) maggiormente ispirati artisticamente di tutto l' anno e non solo. Pur non discostandosi molto dai canoni più classici del fantasy, la loro messa in scena è una profusione di design raffinato, che sa essere di volta in volta oscuro, violento, vivo, "morto", e anche idilliaco; sia nei personaggi che soprattutto negli ambienti. Chiunque ritrovandosi davanti al panorama di Anor Londo per la prima volta non potrà che restare a bocca aperta.
Anche se probabilmente in dimensioni, parlando di conteggio stretto dei chilometri percorribili, Skyrim avrà certamente il vantaggio assoluto, qui non abbiamo di che lamentarci in merito. Anche qui, probabilmente, se vedete un punto in lontananza, potrete raggiungerlo, o quantomeno avvicinarvici molto. Ma la perizia messa nella costruzione del mondo non si esaurisce nell' impatto visivo, ma si riconosce anche nella costruzione della mappa, coerente e con molte scorciatoie colleganti tra loro le varie aree che contribuiscono a dare la sensazione di un mondo reale e concreto.

L' atmosfera di DS si poggia prevalentemente su impatto visivo ed effetti sonori, infatti per il 90% del tempo di gioco non ci sarà alcun accompagnamento musicale per le vostre peripezie; le musiche interverranno solamente in certe (poche) ambientazioni e durante le boss fight. Anche qui non siamo di fronte a nulla di rivoluzionario rispetto a quanto sentito in passato. Cori di battaglia, tamburi e fanfare faranno da sottofondo alle furiose boss fight, mentre brani di stampo più etereo, a volte inquietante, a volte quasi trionfale.
Punta di diamante del comparto sonoro è il doppiaggio, sorprendentemente buono per un gioco in cui ricopre un ruolo così ristretto, con dei dialoghi in inglese di stampo classico che danno un tono ancor più epico al tutto.

Non mi differenzio dagli altri recensori, vi dico anche io che DS non è un' esperienza per tutti, poiché, oggigiorno, il videogiocatore medio è quasi del tutto disabituato a sfide del genere, che affidano tutto il progresso della storia nelle mani del giocatore, sia nella pratica riguardo ai combattimenti, che nell' esplorazione, minimamente guidata. Semplicemente, forse siamo diventati un pò pigri. Ma mi sento comunque di consigliarlo a tutti coloro che si ritengono videogiocatori appassionati. Alcuni potranno riscoprire una filosofia di gioco che non si vedeva da tempo, altri invece scopriranno un mondo del tutto nuovo.

Grafica: 9
Sonoro: 9
Giocabilità: 8,5
Longevità: 10

Voto: 9


This must be the place

Dopo aver cercato di delineare quale potrebbe essere stato il percorso storico, politico, e anche personale, di Andreotti ne "Il Divo", Sorrentino abbassa la mira, non tanto qualitativamente quanto disimpegnandosi dal delineare una figura reale tanto complessa per dedicarsi ad un altra figura, stavolta immaginaria, comunque abbastanza rischiosa da trattare, quella di un metallaro quasi pensionato e praticamente depresso.
I toni sono quelli della commedia mista al melodramma. Sa strappare diversi sorrisi, ma in generale la visione scorre tranquilla.
Sean Penn riesce a trasmettere ottimamente l' essere come "fuori dal mondo" del personaggio, lasciando uscire fuori la tormenta di sentimenti che lo agita interiormente. Alla fine l' intreccio è molto semplice, si regge tutto sulla caratterizzazione dei personaggi, riuscita molto bene.
Un ultimo appunto: un paio di scene le avrei abbreviate.

sabato 5 novembre 2011

"Il rosso e il nero", di Stendhal

Il Rosso e il Nero è una storia di ambizioni fallite. Che poi sono quelle che viviamo quasi tutti. Ma la complicità tra il protagonista e il lettore è ambigua,  poiché se lui si presenta come un individuo materiale, cinico e arrivista, la sa strenua lotta per ritagliarsi un posto nel mondo non può che coinvolgere, e in fin dei conti far riflettere noi su cosa saremmo in grado di fare per ottenere ciò che vogliamo.
Julien inquadra e incarna una categoria generazionale, ossia quei giovani del ceto medio-basso cresciuti all' ombra dell' eredità storico-culturale di Napoleone, fatta di sogni di revanche sociale e rovesciamento della gerarchia nobiliare. Scappatoia per una facile gloria appare la vita ecclesiastica, eppure anch' essa è invischiata nei giochi di potere meschini della Francia post-congresso di Vienna (o forse di sempre).
Una sorta di morale alla fine è riconoscibile, ossia che quando un uomo ha pero tutto, ciò che conta e gli rimarrà (quasi) sempre sono i sentimenti. Ma quando ha perso tutto, però.

sabato 15 ottobre 2011

A dangerous method

Alla recente mostra del cinema di Venezia questo film ha fatto molto scalpore, in particolare la stampa ha acclamato la performance della Knightley. Che infatti è molto brava, come sempre, del resto non è certo il cast il problema del film, semmai proprio la regia. Tratto da un romanzo, di sicuro soffre dei necessari tagli per ragion di lunghezza che la trama deve aver subito, visto che la trama procede con una velocità sconcertante, si passa da una situazione all' altra senza capire bene cosa sia successo nel frattempo, soprattutto nella prima parte. E in generale manca d' emozione la messa in scena, tutto procede liscio senza veri e propri apici, e neanche quelle che sarebbero le vere svolte narrative vengono percepite col dovuto impatto emotivo, anche grazie alla succitata fretta. Peccato.

venerdì 14 ottobre 2011

Metroid : Other M [WII] - Recensione





Con l' avvento del 3D, il problema a cui dovettero andare incontro gli sviluppatori era reinventare i propri giochi, specie i marchi famosi, in funzione delle nuove potenzialità tecnologiche disponibili. A Nintendo se la sono cavata egregiamente, con Super Mario 64 e The Legend of Zelda: Ocarina of Time. Con Metroid però il processo è stato più lento e faticoso, tanto che il marchio ha addirittura saltato una generazione, dal Super Nintendo al Gamecube senza passare per il Nintendo 64. La missione venne affidata ai Retro Studios, e nonostante i mille dubbi iniziali sappiamo benissimo come sia andata a finire, con la trilogia Prime che è entrata nell' olimpo dei videogiochi. Ma, forse troppo impegnata con altri progetti, Nintendo ha affidato ancora una volta il suo marchio più adulto a degli esterni, a quel Team Ninja, famoso per l' amato-odiato Ninja Gaiden. Ancora una volta ci ritroviamo davanti ad un reboot "morale" (perché è chiaramente inserito nella continuity della serie), solo che piuttosto che affrontare la sfida di una nuova tecnologia (se escludiamo il Wii Mote), stavolta si decide di affrontare un nuovo fronte mai affrontato prima, ossia inserire una trama, elemento da sempre alieno (e non necessario) per un Metroid.
A onor del vero, già Prime 3: Corruption aveva implementato un' elemento narrativo decisamente accentuato, specie se si fa il raffronto con qualsiasi altro episodio della serie. Ma qui la cosa si è spinta ulteriormente, rendendo Samus personaggio attivo negli intermezzi filmati, non più spettatrice muta degli avvenimenti. Stavolta, per la prima volta nella serie, la nostra eroina parlerà. E anche troppo! Il principale problema all' impianto narrativo, terribile da dire, è proprio la caratterizzazione di Samus, troppo contraddittoria con quello che è stato il personaggio fino ad oggi. Si è tentato di accentuare il suo lato emotivo, per svelare i suoi lati più deboli: beh, ci sono riusciti anche troppo. Per essere una donna adulta che da anni viaggia da sola per la galassia uccidendo mostri di ogni dimensione e forma, la protagonista di Other M è... come riassumere in una parola sola? EMO.
Si, emo, perché ci ammorba spesso con interminabili monologhi su tutte le sue insicurezze passate e presenti, con una voce pressapoco atona, figlia di una direzione del doppiaggio disastrosa (cosa che affligge buona parte del cast). Insomma, l' hanno resa eccessivamente fragile, e anche ancor più contraddittoria, quando l' apparizione di un vecchio nemico affrontato più volte stavolta le farà venire quasi un coccolone.
L' intreccio in sé è piuttosto buono invece. Nulla di che, ma per lo meno uno o due "WTF" vi usciranno fuori (anche se la loro estemporaneità sembreranno uscire da un B-movie). Non parliamo degli altri personaggi, secondo me sono tutti dimenticabili, anche perché di tutto il cast solo 4 hanno una vera personalità, cosa che si rifletterà a posteriori su uno dei buchi narrativi del gioco, uno abbastanza grave, visto che riguarda quello che sarà un grosso cardine della trama che però sembrerà venire dimenticato. Peccato.

Other M si presenta come il primo vero Metroid in terza persona in 3D (riallacciandosi ai fratelli Mario e Zelda nell' epoca 64 bit), che sfrutterà però una telecamera fissa, per niente fastidiosa, salvo in certe situazioni, comunque nulla di critico. In questa modalità Samus potrà sfruttare tutte le sue abilità topiche, tranne missili e supermissili. Questi verranno usati esclusivamente nella modalità in prima persona, applicabile ruotando il controller (ricordo che si sfrutta unicamente il Wii Mote, niente Nunchuck) in posizione verticale, ossia perpendicolare alla tv. E qui nascono i problemi pratici di Other M.

Non capisco perché i programmatori si siano ostinati a voler utilizzare unicamente il Mote, di fatto privandosi di altri 4 comandi (1 levetta, 2 dorsali, 1 sensore di movimento). Mi pare di ricordare che volessero replicare il feeling dei Metroid 2D classico. Encomiabile, ma allora perché inserire anche la prima persona Un azione del tutto macchinosa e innaturale, visto che dovrete totalmente cambiare posizione di mano e joystick, costringendovi in certi casi ad evoluzioni acrobatiche. Nulla che affondi completamente il gioco, ma certe volte la frustrazione sarà notevole, come nel caso del boss finale, il cui primo round è atroce in tal senso.
Tutta un' altra storia è la mira nella terza persona. Il gioco ha un sistema di autopuntamento che sopperisce alla altrimenti impossibilità di mirare dato il movimento in 8 direzioni uniche di Samus, unica possibilità visto che ci si sposta usando la croce direzionale. Quindi punteremo automaticamente al nemico più vicino, scelta discutibile, specie nelle prime fasi di gioco, ma sorprendentemente una volta presa la mano il sistema funziona piuttosto bene.


Apriamo il tema della difficoltà. Il Team Ninja è famoso per la difficoltà dei suoi giochi, e si potrebbe dire che Other M non faccia eccezione, ma personalmente ho percepito il livello di sfida in maniera molto ambigua. Pur essendo i combattimenti impegnativi, la difficoltà di questi scema piuttosto rapidamente, anche prima del loro naturale abbassamento per il potenziamento del personaggio. Sostanzialmente, per determinati nemici, si tratta di sbattere contro il muro della loro improvvisa difficoltà rispetto ai precedenti, morire qualche volta, e una volta appreso la strategia per affrontarli la loro difficoltà quasi si annulla. Ci sono quindi picchi di frustrazione in un gioco mediamente non molto difficile.


Che non si fraintenda comunque. Other M è un gioco divertente, intenso, e con una varietà piuttosto buona di situazioni, tutte in funzione dello spirito maggiormente arcade rispetto ai canoni della serie. Una mappa più lineare, quindi, non priva di segreti quali oggetti extra, ma dallo scorrimento di sicuro più liscio rispetto ai classici intoppi degli altri giochi, in cui bisognava capire in quale punto della sconfinata mappa utilizzare il potenziamento acquisito. Qui l' esplorazione procede in maniera molto più guidata, senza la ricerca ossessiva del potenziamento di turno, che verrà sbloccato solo dopo che il caro Adam ci permetterà di utilizzarlo, scelta ai confini dell' offensività nei confronti del giocatore che mi rifiuto di commentare; oltre ad essere contraddittoria riguardo a Samus, che è diventata cacciatrice di taglie proprio per operare di testa sua, priva il gioco della soddisfazione a posteriori per la sconfitta di un boss, ossia l' ottenere il potenziamento da lui nascosto. Una bazzecola, che però uccide un po la soddisfazione per la vittoria.


Tanta sperimentazione nelle fasi di gioco non dà sempre dei buoni risultati. A ricevere il Razzie Award sono quelle con telecamera alle spalle, alla Resident Evil 4. Se inizialmente potrebbero sembrare una buona idea, ben presto si capisce che, data l' impossibilità di attaccare in queste sezioni, di fatto è impossibile anche che accada qualcosa, visto la nostra impossibilità a difenderci. Detto in parole povere, saranno delle camminate a passo di formica in cui non succederà nulla. In una delle prime fasi del gioco ci sarà un backtracking in questa modalità a dir poco tedioso.


Tecnicamente il gioco non è il massimo offerto dalla corrente generazione. Per quanto il livello di dettaglio sia decisamente buono e le animazioni fluidissime, i rallentamenti in certe situazioni saranno inevitabili, e il gioco carica un po più spesso di quanto non avrei voluto. Il design poi, è fresco e colorato, ma chi è abituato ai toni cupi dei Prime potrebbe essere infastidito da tanta "vivacità".
Il sonoro, a parte la questione del doppiaggio (mediamente scadente), non presenta picchi di sorta. Tranne forse qualche boss theme non ci sono brani particolarmente memorabili.
Certo se c' è un fronte su cui la nuova impostazione della mappa perde è la longevità. In 10 ore scarse starete vedendo i titoli di coda. Certo, sono state dieci ore piuttosto intense, quindi piangiamo con un occhio.


La sperimentazione è sempre gradita, e per quanti punti oscuri questo gioco abbia, lo ritengo tutto sommato riuscito, visto che innegabilmente ha portato un pò di freschezza nella saga (che comunque è una delle poche a non aver conosciuto veri e propri flop qualitativi, sempre escludendo gli spin off). Non sono del tutto chiuso ad un nuovo episodio dal Team Ninja. Se aggiustassero delle magagne e delle stupidaggini di troppo (faccio notare che il tasto B non viene usato manco di striscio), potrebbe uscirne un vero capolavoro.
E magari la prossima volta forniranno l' armatura di Samus anche di lamette, chissà!


Grafica: 8.5
Sonoro: 7.5
Giocabilità: 8
Longevità: 7


Voto: 7.5


giovedì 13 ottobre 2011

The Expandables

Da piccolo, come molti maschi della mia età, ma soprattutto con qualche anno in più, ero un discreto fan dell action movie americano. Non che fossero i miei idoli, ma le gesta dei personaggi interpretati da Stallone, Schwarzenegger e Willis hanno di certo rappresentato una fetta del mio immaginario infantile. E come tutti, anch' io ho immaginato un film che riunisse tutti gli idoli action in un unico mix. E di fatti The Expandables mira indubbiamente a pungere gli appassionati su questo fattore nostalgia, presentandosi tra l' altro come un prodotto valido, anche indipendentemente da quella che sia la sua eredità
Un action caciarone, con dosi di testosterone in abbondanza; machismo a non finire, in poche parole. Ma anche questo fa parte del gioco, il non prendersi mai troppo sul serio. Certo, le zone d' ombra ci sono, come una certa stupidità di fondo (voluta), o che certi personaggi non vengano sfruttati molto bene (come Jet Li, a cui avrei cambiato doppiatore), o un finale un pò troppo campato per aria. Comunque per chiunque abbia goduto almeno una volta vedendo un Die Hard (per tirare in ballo un nome pesante) o giù di lì, la visione è caldamente consigliata, specie dopo l' annuncio di un seguito.

mercoledì 5 ottobre 2011

Burnout Paradise - The Ultimate Box [360] - Recensione




Sia maledetto Burnout. Da quando giocai a Revenge, il mondo dei racing mi si è precluso. Come si fa a giocare ad altro dopo aver provato la velocità e la scarica di adrenalina propria del titolo Criterion? Non si può, almeno per me. Oltre 60 ore di gioco (di cui credo 10 fossero caricamenti) testimoniano come la formula mi avesse catturato. Tutt' oggi lo riprendo in mano con piacere. La semplicità della formula, ossia il tirare dritto al traguardo evitando di scontrarsi con il traffico e gli elementi dello scenario, cercando allo stesso tempo di buttare fuori strada gli avversari, è qualcosa che ti pigli all' istante.
Inutile dire che provai immensa gioia nel ricevere Burnout Paradise, pensando "Se su PS2 sono riusciti a fare quello, che faranno su 360?"
E com' è stato, secondo voi? Orgiastico come speravo? NO. E' stata una mezza delusione. Anche se non tutto il gioco è da buttare, anzi.

Il problema fondamentale di Paradise è che ha voluto fare il cosiddetto "salto dello squalo", o il passo più lungo della gamba, se preferite. I programmatori, probabilmente, inebriati dal poter finalmente utilizzare appieno la potenza della nuova generazione (essendo prima impegnati con la conversione di Revenge), si saranno detti "Perché non passare da dei percorsi lineari ad una mappa liberamente esplorabile? Fa molto next-gen!"
Perfetto, peccato che la mappa sia perfettamente esplorabile anche DURANTE LE GARE, percui basta imboccare la deviazione sbagliata per mandare all' inferno una gara perfetta. E a 300 all' ora è difficile fare caso a certi dettagli. Non che Paradise City sia intricata, ma in certi incroci basta veramente un nonnulla per imboccare la direzione sbagliata.
Per ovviare a questi problemi i programmatori hanno provveduto ad inserire alcuni aiuti nell' HUD che indichino al giocatore se stia andando nella direzione giusta per il traguardo o per andare a casa di Cristo. Per quanto queste aiutino molto, non bastano a risparmiarvi il culo (c' entra anche quello) e soprattutto dal grado di attenzione richiesti, anzi. Si, attenzione. Perché la difficoltà maggiore in Paradise è che viene richiesta troppa attenzione a troppi fattori durante gare, lo ripeto, che vanno a velocità insane, specie nelle fasi avanzate.
Stiliamo un elenco delle cose a cui dovrete fare attenzione durante una gara.



1- Le macchine avversarie, ovviamente.
2- Il traffico, che oltretutto, dopo la parentesi di Revenge, non è più tamponabile da dietro senza conseguenze, stavolta a meno di non viaggiare piano o casi fortunati dovrete evitarlo accuratamente. Comunque, per compensare la grandezza della mappa, ce ne sarà di meno rispetto ai capitoli precedenti.
3- Gli ostacoli ambientali; anch' essi ridotti.
4- La mappa, e qui le cose cominciano a complicarsi, perché questa vi mostra chiaramente le strade più prossime e la direzione del traguardo, ma non sempre quella che nella mappa in-game sembra una buona scorciatoia lo è, anzi potrebbe portarvi da tutt' altra parte, cosa che vi costringe a mettere in pausa il gioco per visualizzarla completamente e a sfruttare l' indicatore di distanza.
5- L' indicatore di distanza, per l' appunto, che vi indica l' effettiva distanza tra voi e il traguardo. Questo è in genere quello che vi fa capire per primo che avete fatto una cazzata, quando per una curva sbagliata vedrete balzare la distanza da un misero chilometro e dieci volte tanto.
Il gioco arriva anche a suggerirvi di utilizzare questo o la mappa, a seconda del vostro stile di guida. Ma no, è impossibile, visto che uno non ti dice la distanza, e l' altro non ti dice la strada. Vanno usati insieme, e non sempre è comodo. Anzi, non lo è quasi mai. E dire che sarebbe stato molto più semplice se avessero innalzato delle barriere a delimitare anche minimamente i percorsi. Invece ci si affida del tutto al nostro senso dell' orientamento.

La genialità della mappa si vede anche nella modalità di avvio delle gare. Invece di un pratico menù, dovrete recarvi in uno specifico incrocio, premere freno e acceleratore insieme, e la gara inizierà. Cosa assurda quando il gioco uscì, visto che le gare non potevano essere riavviate in alcun modo, percui bisognava aspettare che terminasse, e poi tornare indietro fino a quell' incrocio e riprovare, anche se eravate arrivati dall' altra parte della città. Una cosa da uscire fuori dai gangheri. Fortunatamente hanno sistemato la cosa permettendo tramite D-Pad di riavviare l' ultimo evento cominciato, cosa che snellisce enormemente la partita. Tale feature verrà installata automaticamente con i contenuti extra della Ultimate Edition.


Le modalità presentano facce conosciute e novità. Abbiamo quindi la classica gara con traguardo, la gara di takedown, le corse a tempo; sono nuove invece l' Uomo nel mirino, in cui dovrete raggiungere il traguardo sopravvivendo alle macchine che v' inseguiranno avendo voi come unico obiettivo, e la Prova Stunt, in cui dovrete fare un tot di punti compiendo acrobazie. Questa la boccio completamente, visto che in certe zone della città sarà davvero difficile trovare le rampe e gli altri elementi utili ad accumulare punti, rendendo la gara molto frustrante. La vecchia modalità scontro è stata modificata; adesso potrete avviarla in qualsiasi strada, cercando di colpire più veicoli possibili prima che il tempo scada e accumulando punti. Ogni strada avrà il suo punteggio, e inoltre potrete cercare di battere il record degli amici, così anche nelle Regole della strada, ossia il tempo migliore fatto in quella strada specifica. Per finire, la Strada Rovente consiste nel battere un empo utilizzando una specifica macchina, che in caso di vittoria verrà sbloccata.


A coronare il tutto ci sono le moto, altra feature bonus inclusa già nel cd dell' UB. Queste si mostrano sorprendentemente divertenti da guidare. Hanno un loro feeling, del tutto diverso da quello delle macchine, e andare sparati in sella a una due ruote è una scarica d' adrenalina ancor maggiore che in auto. E' un peccato però che queste vengano sfruttate ben poco; hanno i loro eventi specifici, ma sono pochi, e tutti consistono in corse contro il tempo. Non dico che mi aspettassi una Furia Stradale con le moto, ma almeno una gara si.


Sul fronte tecnico viaggiamo su livelli piuttosto alti. L' impatto generale ha resistito bene agli anni dall' uscita, presentandosi fluido, veloce, e dettagliato. Come al solito l' attenzione maggiore è andata alle macchine in gara, deformabili in tutta la gloria dell' alta definizione. Anche Paradise City si presenta dettagliata e vivace. Non aspettatevi pedoni, non siamo mica in Carmageddon, ma c' è comunque un discreto numero di macchine a renderla abbastanza viva, senza contare il ciclo giorno-notte, oltre che il pacchetto con le condizioni meteo variabili, quali pioggia e nebbia, altro extra già incluso nell' UB (tutti questi extra credo comunque che siano scaricabili gratuitamente, a differenza di altri DLC come le auto e la zona Big Surf Island).
L' UB porterà con sé anche l' espansione musicale al pacchetto di base. Il gioco di suo offre una varietà di brani più o meno rock, con vette quali i Twisted Sisters e pattume come Avril Lavigne (!). Ma in extra avrete tutta una serie di brani di musica classica, per dare un tono più "rilassato", o anche epico, alle vostre scorribande, e credetemi funzionano a meraviglia. A queste si aggiungono dei remix niente male di brani pescati dai primi tre episodi della serie.


A dispetto di quanto abbia potuto dire soprattutto nella prima metà della recensione, l' anima di Burnout sotto sotto si vede ancora. Le corse filano veloci e furiose, e soddisfazioni sa regalarne, specie in momenti come quando sbloccherete una macchina extra buttandola fuori strada. Il freeroaming perla città inoltre è sorprendentemente piacevole. Non ci sono segreti colossali da scovare, ma alcune zone piene di rampe, o semplicemente segrete e non facilmente accessibili sapranno premiare la vostra sete d' esplorazione. In definitiva la meccanica della città funzionerebbe molto bene se solo si ponessero dei limiti durante le gare, poiché gli arcade vivono soprattutto d' immediatezza. Se proprio vogliono darci percorsi alternativi, che portino tutti al traguardo, quanto meno!
Consigliato a tutti, anche se i fan della serie potrebbero avere l' amaro in bocca.


PS: vi consiglio di deselezionare Paradise City dalla playlist. Il gioco ve la proporrà già ogni volta che avvierete il gioco, se dovrete sentirla tutta ogni volta finirete per odiarla.


Grafica: 8,5
Sonoro: 8,5
Giocabilità: 8
Longevità: 8


Voto: 8


giovedì 29 settembre 2011

La crisi ha ucciso oltre 13 milioni di posti di lavoro (TRADUZIONE)

Tanto per vivere in allegria, un altro pezzo sulla crisi economica, anche per ricollegarci al pezzo sul declassamento dell' Italia. Stavolta l' articolo proviene da Der Spiegel.de.

Clicca qui per leggere l' articolo originale.


Questa cifra riassume tutto il dramma della crisi economica mondiale: più di 13 milioni di posti di lavoro, secondo l' OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, N.D.T.), dall' inizio della crisi sono stati epurati - soprattutto tra i non qualificati e i giovani. Solamente in Germania e in Cile la disoccupazione si è mantenuta sugli stessi livelli del 2007.


Berlino- Il salvataggio delle banche e dei paesi in pericolo è costato miliardi - ma la faccia più amara della crisi si mostra nella vita quotidiana: dall' inizio della crisi nel 2007 sono stati perduti più di 13 milioni di posti di lavoro.Oggi giorno, in 34 paesi membri dell' OECD, 44 milioni di uomini sono senza lavoro - "molti di questi da oltre 12 mesi", ha comunicato l' organizzazione questo lunedì.


Stando all' OECD, tra tutti i paesi membri ce ne sono solamente due estranei al trend negativo: la Germania e il Cile. In questi paesi dall' inizio della crisi l' indice di disoccupazione è rimasto basso.


Comunque le previsioni riguardo questo nuovo "scombussolamento" globale oscurano del tutto ogni prospettiva. "La situazione in molte zone si è rilassata nel 2010, così la recente misera crescita economica distrugge questa breve vittoria", dichiara l' OECD.Anche impieghi ottimi e di alto livello sono diventati rari, in particolare per i giovani impiegati. "Sempre più persone ottengono solamente contratti a tempo determinato, che - differentemente da quelli comuni precedentemente - portano ad un punto morto piuttosto che ad un trampolino per avere un impiego durevole.
Simili avvisaglie giungono dall ' Eurostat (Ufficio Statistico dell' Unione Europea, N.D.T).


La disoccupazione e la Germania


Si presenta problematica l' elevata carenza di lavoro duraturo. Questa, dal 2007, è raddoppiata in molti paesi, negli Stati Uniti è persino triplicata. "Anche in questo senso la Germania è una dei pochi paesi a vantare un trend positivo", dichiara l' OECD. "Perciò [nel resto del mondo] rimane alta la percentuale di disoccupati che da un anno o di più cercano lavoro, il 47%."


Quindi la Germania si presenta come una gradita eccezione rispetto al dilagare della disoccupazione, che è scesa di due punti al 9,7%. Nel quadro dell' OECD i giovani nella fascia tra i 15 e i 24 anni hanno sofferto un forte collasso nel mercato del lavoro. "Similmente serie sono state le conseguenze per i non qualificati", dice.


Uomini colpiti più duramente


Secondo l' OECD alla fine del 2010 più di 22 milioni di giovani non studiavano, né tanto meno lavoravano. L' organizzazione perciò promuove una migliore formazione sin dall' infanzia, "e questo soprattutto per bambini provenienti da famiglie svantaggiate". L' occupazione degli uomini, stando alla media dell' OECD, ha subito una forte contrazione, del 2,7%, mentre per le donne siamo sullo 0,6%.

giovedì 22 settembre 2011

Speciale Marvel Zombies

 Essendo più o meno chiuso un ciclo iniziato nel 2005 sulle pagine di Ultimate Fantastic Four, ho pensato di ripercorrere quelle che sono le tappe di una delle idee a mio avviso più geniali della scorsa decade in fatto di fumetti supereroistici, ossia un "what if" a dir poco terrificante: cosa accadrebbe al mondo se tutti i suoi supereroi diventassero spietati zombie?
L' idea nacque come ho detto sulla testata UFF, e più precisamente nel ciclo narrativo Crossover, scritto da Mark Millar e disegnato da Greg Land. Il plot vedeva Reed Richards portato con l' inganno dal suo alter ego zombie nella dimensione apocalittica con l' intento di approfittare del varco e procurarsi carne fresca, visto che la loro Terra è ormai spopolata.
L' idea piacque tanto al pubblico che non è servito certo un warp dimensionale per permettere a quella che era nata come una semplice storia inserita in una continuity di avere una storyline propria.
Sulle pagine di UFF gli zombie avrebbero di nuovo avuto la loro riscossa con il successivo arco narrativo Orrore nel 2006, la cui conclusione però non avrebbe fatto altro che generare a mio avviso altri buchi narrativi nella testata suddetta... ma questo è un altro discorso.

 Con Robert Kirkman a fare da mente e Sean Philips a fare da braccio, gli zombie sono tornati già nel medesimo anno con la loro miniserie apposita. L' essere slegato da una testata principale ha permesso agli autori di sbizzarrirsi con quello che mancava alle apparizioni su UFF (e che in fin dei conti è l' anima del genere), ossia lo splatter, che qui abbonda a dir poco.
Partendo direttamente da dove termina Crossover e finendo poco oltre Orrore, lo spin off svela la disperata ricerca di cibo da parte degli zombi in un mondo ormai deserto.
Con un abbondante dose di humor nero, di gore, e di tutta una serie di situazioni che bisogna aspettare apposta i "what if" per potervi assistere (roba che può mandare in solluchero i fans, che finalmente vedono scardinati un pò di dogmi classici), questa prima miniserie è a dir poco eccellente, e ne consiglio la lettura a chiunque, davvero una piccola gemma.




Nell' aprile del 2007 vede la nascita il primo spin off della serie, un cross-over con l' Armata delle Tenebre, il celebre film di Sam Raimi, che di non morti la sa lunga. Il personaggio interpretato da Bruce Campbell, Ash Williams, s' incastra perfettamente con l' atmosfera del marchio, dando vita a siparietti esilaranti in cui interagisce con i "buffoni in calzamaglia"; morti o vivi che siano. Si nota qualche incongruenza narrativa, ma nulla di grave, e si può benissimo chiudere un occhio vista la qualità del volume, un sano entertainment da prendere alla leggera.


 Se a Settembre abbiamo la fine dello spin off, a Ottobre la trama prosegue, diversi anni dopo la conclusione dell' originale, nel momento in cui gli ultimi super zombie rimasti si rendono conto di aver divorato tutta la carne presente... nell' universo!
L' unica quindi è tornare sulla Terra e raggiungere il teletrasporto di Reed Richards. Peccato per loro che il pianeta non è più deserto come l' avevano lasciato...
Fin qui la qualità si mantiene ancora elevata. MZ2 è la naturale continuazione della miniserie precedente. Ritornano tutti gli elementi che ne hanno decretato il successo, quindi i fan saranno a casa loro. E forse loro più di altri, visto che la trama è piena di riferimenti agli avvenimenti precedenti, quindi chi si approcciasse a questo volume senza aver presente cosa sia successo prima avrà sicuramente dei problemi.
Il finale è chiaramente aperto, lasciando intendere che ci saremmo dovuti aspettare in futuro ancora nuovi massacri. E così è stato!




 Non contando la numerazione che avranno le altre serie ufficiali (essendo stato pubblicato solo nel 2009), Marvel Zombies Return è considerabile quasi come uno spin off, per quanto centrale sia in realtà la sua trama, che chiude gli eventi dei principali zombie della serie, e costituisce anche un plausibile finale per il marchio. Certo, va considerato che l' impianto comincia a scricchiolare sotto le incongruenze e i buchi narrativi, quali il perché gli zombi sopravvissuti abbiano di nuovo fame se erano riusciti a sconfiggere la loro "dipendenza", ma sono problemi su cui si può chiudere un occhio, la serie è valida, e ancora una volta offre abbondanti dosi di fan service (in tal senso la prima storia è un must imprescindibile per tutti i fan dell' Uomo-Ragno). La natura eterogenea di Return si rispecchia nel fatto che sono diversi artisti ad avvicendarsi nella realizzazione dei vari numeri, quindi probabilmente preferirete alcuni di questi piuttosto che altri. Comunque chiunque abbia seguito fin qui la serie deve leggerlo obbligatoriamente.



 La terza stagione sposta l' attenzione su alcuni nuovi fronti dell' epidemia "zombesca". Se finora abbiamo visto quasi esclusivamente i supereroi, adesso ci verrà mostrato come viene vissuta dai supercattivi, i quali si saranno organizzati in un gruppo compatto con l' obiettivo di portare il "vangelo della carne" in una nuova ( e chiaramente "in carne") dimensione, ossia la Terra-616 (la dimensione in cui si svolge la continuity Marvel principale, per intenderci), la quale però ai primi segnali d' invasione prenderà immediatamente le dovute contromisure inviando Machine Man, membro del gruppo Nextwave, a procurare campioni biologici in loco per poter distillare una cura. Cosa otteniamo quindi se mettiamo una specie di super Terminator con una grave misantropia che sfocia nell' odio viscerale per qualsiasi essere organico in un mondo di "sacchi di carne" macellabili liberamente? Quello che è probabilmente l' episodio più splatteroso di tutto il marchio.
Un volume molto leggero, leggibile anche con una scarsa (o assente) conoscenza della continuity, che ha soprattutto il merito di aprire, come si è detto sopra, la storia verso un nuovo mondo tutto da sbranare.


 Anche la quarta stagione (iniziata nell' Aprile del 2009) muove i suoi passi nella dimensione 616, seguendo le vicende della riformata squadra dei Figli della Mezzanotte (Morbius il vampiro vivente, Licantropus, la strega Jennifer Kale, ed Hellstorm). Una vera e propria compilation di mostri horror classici quindi. Questi saranno impegnati a cancellare tutte le tracce dell' infezione lasciate in giro dalla testa del Deadpool zombie, inviato per primo nella Terra-616 in MZ3.
A complicare la situazione s' inseriranno tutta una serie di potenze, interessate per vari motivi al virus zombie, quali l' Uomo-Cosa, Hood, e persino Dormammu.
Kev Waller e Fred Van Lente, dopo la terza serie, nuovamente gli autori in carica. Stavolta tutto l' umorismo è affidato a Deadpool, mentre i Figli della Mezzanotte si mostrano in tutta la loro fragilità, avendo da affrontare ancora prima degli zombie extra-dimensionali i loro demoni interiori (anche letteralmente).




 Con la quinta stagione, serializzata tra Giugno e Ottobre 2010, devo purtroppo assistere ad uno scivolone qualitativo. Lente è ancora lo sceneggiatore, mentre i disegni sono passati sotto l' egida di Jose Lopez, e stavolta ho avuto l' impressione che un pò della verve del marchio sia stata persa per strada, mentre è ormai chiaro che la freschezza originale sia ormai un lontano ricordo.
Eppure le premesse erano delle migliori, visto che al centro delle nuove avventure ritroviamo Machine Man, accompagnato da Howard the Duck, un duo che avrebbe dovuto ricreare l' atmosfera dissacrante che ormai tutti conosciamo, ma che come ho detto ha perso di smalto. Interessante anche l' idea di scoprire diverse versioni parallele del virus, occasione per un continuo richiamo a citazioni cinematografiche e non, ma che però ha impedito di costruire un impianto narrativo solido.
A salvare del tutto la baracca però ci pensa l' ultimo episodio, davvero geniale.


 Deadpool : Viaggio con la testa fuoriesce dalla continuity ufficiale degli Zombies, in quanto costituisce un ciclo a tutti gli effetti del Deadpool "normale", ma è possibilissimo inserirla nel nostro discorso in quanto prosegue gli eventi di MZ4, ossia cosa sia accaduto in seguito alla testa del Deadpool zombie giunto su Terra-616 in MZ3. Il mercenario dal fattore rigenerante miracoloso quasi quanto il suo essere linguacciuto viene assoldato per recuperare una pericolosissima arma biologica dispersa nelle Terre Selvagge. Indovinate di cosa si tratterà?
Ancor più che in passato la trama qui gioca molto sul fattore comico, e i siparietti tra Deadpool, Headpool (la testa zombie), e gli altri personaggi meritano da soli la lettura. Unico motivo per sconsigliarne la lettura è l' odio che potreste provare nei confronti di un personaggio così assurdo.






Ce ne sarebbe ancora da dire sul Vangelo della Carne, ma ammetto senza vergogna di non aver letto tutto il leggibile sull' argomento. Ma la vastità delle letture non deve spaventarvi più del dovuto, poiché come avrete capito ne vale decisamente la pena. It's chow-time!

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