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venerdì 17 giugno 2011

"Il Conte di Montecristo", di Alexandre Dumas

Vi spiego come funziona. Se alla fine di un film, di un libro, di un videogioco, di un anime, di qualsiasi cosa, insomma, io mi sento triste, allora al 99% quella cosa mi è non solo piaciuta, ma mi ha lasciato qualcosa.

Perché sentirsi tristi dopotutto? Non è detto per forza che quel qualcosa sia strettamente triste. Ma non credo di dire nulla di alieno a voi altri se affermo che spesse volte, giungere al termine di una storia è un pò come partire da casa. Ci si è passato tanto tempo, si sono vissute mille emozioni, ma prima o poi bisogna andarsene, per andare avanti, e un pò di commozione è inevitabile.

Quando segui una vicenda, specie se questa è lunga (e ovviamente appassionante), leggendola è quasi come sentirsi a casa propria, si è a proprio agio, si riconoscono i personaggi, ci si appassiona alle loro vicende... e quando il viaggio termina, o riprende, se preferiamo, ci dispiace di non sapere come proseguiranno le loro vite. In parole molto povere e riduttive sono queste le sensazioni che mi hanno lasciato terminata la lettura di Montecristo.

Una breve (e anche un pò imbarazzante, vista la sua intempestività) discussione con un commesso della Feltrinelli verteva sul fatto che oggi giorno non si fanno più i romanzi come una volta. Il che è grossomodo vero, come devo constatare terminata la lettura del libro. A meno di non avere a che fare con un Umberto Eco, con un Q, e non credo molti altri esempi odierni (tra i più celebri), è difficile ritrovare in un' opera moderna un gusto per la "totalità" come l' avevano i romanzi dell' 800. Quella maestria nel descrivere con dei semplici tratti un' epoca storica, la sua società, la sua economia, e gli ambienti, gli eventi, i personaggi, come anche la costruzione dei dialoghi... Lo scrivere, insomma, è decisamente di tutt' altra pasta rispetto allo scrittore odierno medio. Non per dire che oggi si scriva male, ma il gusto retrò fatto bene a me piace. Pensate ad un Manzoni molto meno invasivo, che non si dilunga oltre il dovuto, e avrete una vaga idea di quello che offre il libro a livello di racconto.

E poi c' è lui, uno dei più grandi e appassionanti personaggi mai concepiti. Edmond Dantès. Un personaggio che cambia in maniera sconvolgente nel corso dell' opera, e il lettore è trascinato con lui nella sua determinata vendetta (divisa tra il diabolico e il divino). Semplicemente immenso, stregante, e quasi sovrannaturale, come fosse uno dei maghi delle tanto citate Mille e una notte.


La lettura è raccomandata anche a chi ne avesse visto il bellissimo adattamento anime Gankutsuou, che comunque differisce decisamente dal libro, vuoi per la maggiore enfasi messa sul personaggio di Albert, vuoi per le inevitabili deviazioni dalla trama originale (specie nella seconda metà della storia).

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